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Intervista: Aurora D'amico, una cantante dallo ‘spirito artistico libero’


Quando è nata in te la passione per la musica e il desiderio di dedicarti totalmente ad essa? Quali sono state le tappe della tua formazione artistica?

Sono sempre stata circondata dalla musica, e da sempre mi affascina tutto ciò che la musica è in grado di trasmettere. Sono cresciuta in una chiesa in stile americano, all’età di 12 anni ho iniziato a suonare la tastiera nella band ogni domenica. Qualche anno dopo, in seguito a lezioni private di pianoforte, mi sono iscritta al Conservatorio per inseguire il mio sogno di compositrice. Durante gli studi classici, però, continuavo a sentire il bisogno di aggiungere le parole alle mie composizioni musicali. E così ho intrapreso gli studi della Berklee Online per soddisfare il mio bisogno del “Songwriting”.

Quando hai iniziato a proporre i tuoi brani per la prima volta davanti ad un pubblico, come ti sentivi in quel momento?

Se mi ricordo bene, la primissima volta che ho portato un mio brano davanti a un pubblico, era per una serata di Capodanno. Le mani e la voce tremavano senza sosta e io continuavo a fissare i tasti della tastiera mentre suonavo. La stessa sensazione l’ho avuta anni dopo, da sola su un palco immenso, per la prima volta con la chitarra a tracolla e con le gambe che non mi reggevano per l’emozione.

Come descriveresti la tua musica a chi ancora non ti ha ascoltato?

Non sembra di sicuro riconducibile ad un singolo ‘genere’, ma appare molto varia e creativa

La mia musica ha principalmente come filo conduttore la purezza del racconto. A volte sono storie di esperienze fragili e delicate, e quindi ne consegue un arrangiamento dolce e morbido; ma altre volte sono storie di litigi, fraintendimenti, emozioni forti che di conseguenza mi portano ad uno stile più deciso, più ritmico. Penso di definire il mio genere folk-pop, perché la parola “folk” abbraccia per me l’idea del cantautore onesto che si apre al pubblico, e “pop” invece rispecchia molti degli arrangiamenti che scelgo e che provengono dalle influenze della musica contemporanea. Allo stesso tempo, però, desidero rimanere aperta nel definire il mio stile, per non rischiare di finire chiusa in una scatola da cui sarebbe difficile uscire.

Aver deciso di essere uno ‘spirito libero artistico’ che si muove tra Italia, Inghilterra, America, che tipo di arricchimento ha portato al tuo stile musicale?

Sicuramente viaggiare è un arricchimento per la mente: vedere, conoscere e vivere in culture diverse ti porta inevitabilmente a paragonare il tutto con la tua cultura madre. Per quanto riguarda la musica, prendo sempre ciò che mi emoziona, che mi ispira e che mi porta a volere fare meglio e di più.

Cosa racconti nel tuo disco ‘So many things’’ ?Di cosa parlano le tue canzoni? E come lo presenteresti ai nostri lettori?

“So Many Things” è il mio diario personale messo in musica: ogni traccia mi riporta in un luogo e in un tempo ben preciso. Parlo di amicizie, addii, speranze, paure e uno dei temi più ricorrenti è il viaggio: il viaggio di chi va a cercare fortuna, o di chi si è lasciato indietro le persone che ama.

C’è una canzone del disco che pensi ti rappresenti più di tutte o a cui sei particolarmente legata?

Sono tutte parte della mia vita, sono la conseguenza di chi sono oggi. Quindi non so dire con esattezza quale “parte di me” preferisco nel disco. Uno dei miei brani più sinceri è sicuramente “Oceans Between Us”, e in un certo senso rappresenta quel lato di me che molte persone non credono che io abbia: la franchezza e l’energia di chi si alza per risolvere una situazione.

In futuro ti piacerebbe scrivere qualcosa in Italiano?

L’italiano è una bellissima lingua, ma allo stesso tempo è molto difficile da utilizzare all’interno di una melodia (e le mie melodie sono molto influenzate dallo stile Inglese e Americano). Il rischio è quello di cadere nel banale o di scrivere una storia che non sia chiara all’ascoltatore, dando la precedenza al suono piuttosto che al testo. È un lavoro abbastanza diverso, che però non mi precludo di fare un giorno.

Tu hai anche studiato alla Berklee College of Music. Ma le tue canzoni come nascono? Hai tratto qualche vantaggio dall’avere appreso come si può costruire o migliorare un brano?

I corsi della Berklee mi hanno aiutato tantissimo a conoscere quali sono i movimenti che si nascondono dietro una canzone in cui testo, accordi e melodia sono in perfetta sintonia tra di loro. Non si tratta di regole, ma di strumenti che, nel caso per esempio di un blocco artistico, possono tornare molto utile al compositore.

Cosa pensi dei talent show? C’è il rischio che si tratti di prodotti che vengono proposti alla massa già ‘confezionati’ ad arte?

I Talent Show sono degli spettacoli televisivi, e questo dovrebbero rimanere. Non dovrebbero, quindi, dettare le leggi per le decisioni artistiche nel music business, e sicuramente non dovrebbero essere l’unica fonte in Italia da cui provengono i nuovi “artisti” che poi sentiamo in radio. Penso, però, che la responsabilità di tutto questo non ricada sul gioco televisivo, ma su chi da dietro le quinte ne gestisce i fili.


Ti piace di più la fase di composizione e registrazione in studio o il contatto live con il pubblico?

Sono due momenti molto diversi, che mi danno indistintamente delle emozioni abbastanza forti: il momento in cui nasce un brano e lo vai costruendo mattone dopo mattone, mi dà euforia e allo stesso tempo una sorta di pace interiore. Quando poi porti quella creazione davanti a un pubblico, puoi finalmente condividerla e scoprire che effetto ha sulle persone.

A proposito di pubblico, ti sei fatta già una idea di quale tipologia di ‘fan’ ti segue?

Si, ma preferisco non dirlo per non influenzare chi non fa parte di queste “categorie”.

Quale direzione pensi stia prendendo la musica italiana e in generale tutta la musica oggi ?Gene Simmons dei Kiss sostiene che oggi non esiste più la possibilità che nascano dei nuovi Beatles o dei nuovi Rolling Stones. La grande musica ha già detto tutto?

Non ho una risposta a questa domanda. Anche io me la faccio spesso e la faccio anche a musicisti più avanti di me nella carriera. Momentaneamente per me è molto raro trovare un artista italiano che mi dia le stesse sensazioni che mi danno Joni Mitchell o Bruce Springsteen. Non posso dire lo stesso per gli altri paesi del mondo, dove per esempio ci sono artisti che mi fanno venire i brividi anche solo attraverso lo schermo.

Trovi utili i social come mezzo di comunicazione per un artista ?

I social sono sicuramente utili per comunicare gli appuntamenti e il materiale interessante che si va producendo (come anche questa intervista). Ma personalmente cerco di non farmi risucchiare troppo tempo ed energie.

C’è qualche esperienza musicale che ti piacerebbe fortemente vivere e che è ancora un sogno nel cassetto?

Assolutamente sì. Uno dei miei sogni più grandi è aprire il concerto di uno dei miei artisti preferiti.

Cosa hai in programma per il 2019?

Mi sto concentrando molto su nuova musica da scrivere e nuove storie da raccontare. E per farlo, molto spesso serve uno spazio silenzioso in cui riflettere e chiudere fuori dalla porta le distrazioni e le voci che ci influenzano. Allo stesso tempo uno dei miei obiettivi del 2019 continua ad essere viaggiare e portare “So Many Things” in luoghi in cui ancora non sono stata.

Grazie Aurora!!!

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